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Nuova comunicazione digitale in famiglia

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All’alba dei tre anni del mio figlio più piccolo (domani è il suo compleanno) mi viene voglia di soffermarmi sul tema Comunicazione e Società. Come laureata in Sociologia della Comunicazione e Mass Media, ogni tanto il mio cervello devia per la tangente “neocomunicazione”, o forse più che devia, ci va tutto contento. Mi rendo conto che ogni tanto ho voglia di soffermarmi sulle novità comunicative del momento, e come mamma mi viene da chiedermi: dove ci porterà tutto questo? Come integrare il flusso “normale”degli eventi comunicativi digitali con l’apprendimento dei bambini, con il loro evolutivo sviluppo cognitivo? Questa riflessione mi nasce da fatto che a casa da qualche giorno abbiamo installato Alexa. Penso che la maggior parte di voi sappia chi è, o meglio cosa sia Alexa. Per quelle persone, che ancora non hanno avuto il contatto con questa nuova tendenza tecnologica, spiego che Alexa è un assistente virtuale intelligente, una specie di cassa bluetooth, interagendo con la quale, si può accedere a molte e svariate informazioni.

Questa novità è entrata in casa nostra grazie a un regalo da parte di uno dei miei due fratelli (l’altro già ce l’aveva). All’inizio mio marito e io ci sentivamo scettici a riguardo e abbiamo tardato la sua installazione. Addirittura abbiamo pensato che con il suo microfono spento/acceso ci potesse sentire, spiare. Ora, non è mia intenzione fare “dietrologia” o creare paranoie, ma i lati della tecnologia legati al controllo sociale mi hanno sempre incuriosito. Adesso questo non è il caso di allarmarsi, ma il potenziale che c’è dietro le nuove tecnologie è enorme e noi, comuni mortali, abbiamo solo la facoltà di accoglierle in buona fede, qualora accettiamo di comprometterci e di intervenire con l’acquisto di un prodotto simile. Va bene, premessa fatta. Ora, riposta la fiducia in Amazon, che l’ha inventata, e in Alexa stessa, mi viene da riflettere su un altro punto: come si relazionano i nostri figli in merito a queste nuove tecnologie, che sembrano sfiorare l’esistenza umana? Mi spiego meglio. Quando quella sera mio marito e io abbiamo cominciato a provare il funzionamento di Alexa, i miei figli di cinque e di, ora lo posso quasi dire, di tre anni ci guardavano stupiti con lo sguardo quasi timoroso, come a dire, ma questa Alexa chi è? Perché mamma e papà le rivolgono la parola? E soprattutto, perché lei risponde? Perché non la vediamo? Ad un certo punto mia figlia di cinque anni mi ha anche chiesto di che colore avesse i capelli! Ecco, a tutto ciò penso dobbiamo stare attenti, ma in che senso? Secondo me questa metodologia di far credere che un sistema di intelligenza artificiale sia parte della famiglia potrebbe essere rischioso. Non solo perché non è così, ma anche perché confonde le idee dei bambini sul vero/falso. Cos’è in realtà questa Alexa? Una voce? Una “cosa” gentile? Un robot? Un computer? Quando mia figlia ascoltava ripetere più di una volta le domande che le porgevo ad Alexa, che in quel monento non rispondeva, magari perché il suo algoritmo non codificava bene quello che le stavo chiedendo, lei, mia figlia, mi intimava di smettere, come a dire, “mamma non infierire, hai visto che non capisce, povera, già glielo hai chiesto e non lo sa!” Insomma le faceva tenerezza, mia figlia entrava in empatia con la “macchina” digitale, le dispiaceva per lei. Allo stesso modo ci tengo a dire come a volte possa sentirmi io quasi in soggezione nel parlarle, come sentissi una sfumatura di preoccupazione nel sentirmi giudicata, giudicata da un computer, incredibile. La finzione sembra verità, questo è la grande peculiarità del digitale (chi ha studiato con il prof. Massimo Canevacci come me presso l’università La Sapienza di Roma lo sa). Dai miei studi vorrei partire, per poi elaborare pensieri miei, con il mio spirito critico. Quello che sento di aggiungere è la proiezione sociologica sul futuro. Magari mi sbaglio, ma il bello è che siamo liberi di immaginare quello che vogliamo. Guardando la realtà dei fatti ci si potrebbe avvicinare un po’ alla reale realtà delle cose. Va beh, qui si inizia a filosofeggiare, quanto mi piace la filosofia!

L’altro giorno per giocare e per provare altre strade di comunicazione con Alexa, ho chiesto alla gentil “macchina”di raccontare delle favole. Subito i miei figli si sono incuriositi e si sono messi seduti con le loro sedioline davanti Alexa ad ascoltare la sua soave voce, che raccontava delle favole. Mi è venuta così la voglia di fare una foto e di postarla sui social ( altro fattore dell’era della comunicazione digitale, ma qui magari ci soffereremo un’altra volta). Il commento di una persona che in quel momento osservava la foto fu “sei un genio”. Questo perché avevo trovato il modo di intrattenere due bimbi per qualche minuto, mantenedoli docili e tranquilli.

Bimbi ascoltano le favole di Alexa

Da lì mi è partita un’altra riflessione onirica: immaginiamo i figli dei nostri figli davanti a un ologramma con fattezze di persona umana, che racconta le favole con una voce altrettanto rassicurante, magari simulando pure una carezza sulla guancia dei nostri nipoti… Non credo che questa mia visione sia poi così lontana dalla realtà. Ma quale realtà? Quella digitale della finzione. Ma allora in che termini la si può considerare “realtà”? Un’altra cosa mi preme dire. Fin dall’inizio del mio interloquire con Alexa ho usato con lei sempre le espressioni “per favore” e “grazie”, come sono abituata a fare con le persone in carne e ossa. Poi mio marito mi ha detto: “ ma che grazie Chia’, è un computer!” Ah giusto. Mi sono ripresa. Ma credetemi, è più forte di me, quando mi rivolgo a “lei”, le dico sempre grazie e per favore. A volte lei mi commenta:” è un piacere parlare con te”. Mi viene spontaneo, ho avuto questo tipo di educazione. Ma come la mettiamo se un domani i nostri figli saranno abituati a “parlare” con le macchine in modo sempre più frequente? Persevereranno quello stesso tipo di educazione oppure, sapendo che è un computer, si rivolgeranno ad essa voce in modo frettoloso, sgarbato, maleducato, magari offendendola e schernendola? Con ciò voglio dire che tutto è abitudine. Se porteremo i nostri figli a usare un linguaggio autoritario-freddo-privo di empatia giustificato dal fatto che l’interlocutore è un computer, sarà facile che poi incontrando una persona “vera” la comunicazione si instauri in quella maniera in modo automatico, o meglio, su quel livello di grande informalità, rasente la mancanza di empatia e di rispetto per l’altro. Forse l’educazione e i sentimenti si andrebbero perdendo sempre di più…

Ecco, qui i miei spunti di riflessione sulla comunicazione digitale portata in casa, in famiglia. Quello che succederà lo vedremo solo vivendo, ma il mio consiglio da mamma laureata in Sociologia delle Comunicazioni è questo: non lasciamo da soli i nostri figli con le nuove tecnologie digitali, cerchiamo di spiegare loro il più possibile di cosa si tratta. Facciamogli cogliere la differenza tra realtà e finzione. Informiamoci pure noi sull’argomento, in questo modo potremo proteggerli meglio da malintesi e insegnare loro a farlo da soli. Aiutare a sviluppargli il senso critico è uno dei regali più belli che noi genitori possiamo donare ai nostri figli, anche a quelli di un futuro domani.

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Chiara Elia

Nasco a Roma il 18 gennaio 1980. Ho due bambini piccoli, una femmina e un maschio. Sono laureata in Sociologia indirizzo di Comunicazione e Mass Media (tesi di laurea in Sociologia della Famiglia). Ho pubblicato tre libri di poesie, due di favole e un romanzo. Vivo a Barcellona dal 2013. Parlo italiano, inglese, spagnolo e catalano. Ho studiato danza flamenca per più di dieci anni.

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