Il terzo compleanno del figlio all’estero
È arrivata anche la data del terzo compleanno del mio figlio più piccolo. Adesso tante cose cambieranno. Come vi ho raccontato in alcuni dei miei precedenti articoli, ho deciso di fare la mamma a tempo pieno per i primi tre anni di vita dei miei figli. Lavoro da quando ho diciannove anni per pagarmi gli studi universitari, ma è da sei anni che non lavoro, per dedicarmi a pieno alla maternità. La prospettiva di ricominciare è vicina. A settembre infatti anche il mio bimbo più piccolo, che da quanche giorno ha compito tre anni, andrà a scuola. Spesso mi chiedo, quale trasformazione ci sarà nella mia quotidianità? Dopo sei anni di impegno attivo, giorno, pomeriggio e notte come mamma a tempo pieno, mi fa strano pensare che tra qualche mese questa modalità di vita cambierà. Il risultato è che da una parte so che sarò contenta di riprendere in mano la mia situazione lavorativa, ma dall’altra parte centellino questi giorni con mio figlio, mi godo questi momenti, in cui sta passando dall’”era bebè” all’”era bambino”, il viso cambia, è più da grandino e meno paffutello . Tra poco infatti ci dedicheremo alla rimozione del pannolino e del ciuccio. Per fortuna mio figlio sta sviluppando un carattere e un modo di fare parecchio indipendente: vuole vestirsi da solo, o meglio ci prova, si lava i denti da solo, per non parlare dell’autonomia che ha nel mangiare e nel bere dall’età dei sedici mesi! Penso che vedendo la sorella più grande sia più motivato a imparare a fare da solo.

Questi tre anni li abbiamo celebrati con due feste. A me piace prolungare i festeggiamenti. In questo caso abbiamo passato il giorno del compleanno in famiglia, con mio marito, mia figlia, il festeggiato, me e la mia mamma, una delle “nonne volanti” venuta da Roma a Barcellona a posta per l’occasione. Tre anni sono importanti, tre anni vestono l’età della trasformazione. A Barcellona la materna inizia appunto a questa età. I bimbi sono ancora piccoli, ma cominciano a parlare, a farsi capire a chiedersi il perché delle cose. Mio figlio di tre anni mi fa sorridere. Al compleanno, tra i vari regali, ha ricevuto un monopattino a tre ruote. Si sente più grande di prima, ha questa nuova consapevolezza. Qualche giorno fa non avrebbe saputo come andarci, ma ora ci va spedito sul marciapiede, al parco. Lo vedo che cambia, che cresce, con quella gambetta che gli dà la spinta per lanciarsi più in là, vedo ciò come una metafora, il monopattino simboleggia l’autonomia, il saper fare cose che prima non si conoscevano, e senza l’aiuto della mamma, l’autostima. Rimango accanto a lui, lo seguo, gli intimo gli “alt”, gli insegno ad aspettare, ad osservarsi intorno, perché per esempio sta arrivando una macchina, e lui mi ascolta. C’è soddisfazione nello spiegargli le cose. Non si parla più a un bebè, ma a un bimbo che sta diventanto grande e ogni giorno di più segue quello che gli dico, lo capisce, lo interiorizza, diviene una sua regola. Certo, allo stesso modo cresce anche la voglia di affermarsi, perciò quando mio figlio di tre anni si impunta che non vuole una cosa è no e basta. È a quel punto che gli comincio a parlare sottovoce, lo abbraccio, lo calmo e gli spiego, gli parlo, gli dico perché invece deve seguire quello che la mamma gli suggerisce di fare. E lui ascolta, si calma e alla fine, dopo aver compreso l’aspetto logico della situazione, esclama: “va bene mamma”. Che conquista per lui! Insomma i nostri figli crescono, da una parte imponendo e sperimentando la loro voglia di affermare la propria identità, dall’altra vogliono ancora sentirsi cuccioli, essere seguiti, ascoltati, capiti, ed è nostro compito di genitori farlo, dando loro affetto, districandogli i dubbi dei loro e continui “perché?”, rassicurandoli, dandogli sicurezza insomma.

La festa in famiglia è stata serena e gioiosa. Pranzo fuori con “la nonna volante”, passeggiata al centro di Barcellona, ludoteca, rientro a casa, telefonate, videochiamate e messaggi vocali da parte dei parenti e amici dall’Italia, poi canzone, torta, brindisi e regali. Il giorno dopo invece abbiamo organizzato una festa con gli amici. All’inizio l’avevamo pensata a casa, poi con il caldo anomalo che a Barcellona faceva in quei giorni di febbraio, abbiamo spostato la festa di compleanno al parco. Visto che era a febbraio e perciò in pieno Carnevale, abbiamo organizzato la festa in maschera. Quel giorno facevano più di 20′ gradi, e quando gli ricapita a mio figlio di organizzare il compleanno al parco durante l’inverno? La festa è riuscita bene, si respirava un clima amichevole e sereno. Mia mamma ha preparato le italiane “frappe”, c’era un’atmosfera italiana. Ciò era voluto. Come sapete già mi sono soffermata più volte, e quando posso non perdo l’occasione per sottolineare quanto mi piaccia vivere a Barcellona, per il fatto che si respira la multiculturalità. Questa volta però ho invitato poche persone e tutte famiglie italiane. Il fatto era che siccome mio figlio non va a scuola, ancora non ha i suoi amichetti, perciò quelli invitati erano soprattutto amici nostri, dei genitori, che hanno i figli piccoli, nati nello stesso anno di mio figlio, cioè nel 2017. Poi c’era anche un amichetto italiano della classe di mia figlia più grande. Insomma per la prima volta ho organizzato una festa volutamente con pochi invitati e tutti italiani. Ci tengo a dire che amo stare anche con gli altri amici catalani e internazionali che abbiamo a Barcellona, ma questa volta è stata una prova ed è venuta bene. Tra l’altro mi sembrava anche una forma di rispetto nei confronti di mia mamma e dei genitori di una mia amica italiana, venuti anch’essi per stare con la nipotina, che vive all’estero, a Barcellona, come noi appunto. C’è da dire pure che la mia mente aveva bisogno di rilassarsi, anche per questo l’ho fatto. Tra il corso di catalano ricominciato a un livello più alto, le riunioni della scuola, lo spagnolo, insomma, sono immersa costantemente nelle lingue e ciò alla lunga stanca. Per la prima volta ho partecipato a Barcellona a una festa dove si parlava solo italiano e il mio cervello si è riposato. Quando si vive all’estero è la lingua che ti impegna di più cerebralmente. Considerato che quando vado a una festa a Barcellona parlo catalano, spagnolo, a volte anche inglese, e italiano con qualche connazionale presente, il ritmo cognitivo è alto. Non mi voglio lamentare, come già vi ho raccontato da precedenti articoli a me piace vivere così, ora vi sto solo spiegando. Durante la stessa festa è normale cambiare lingua, capire in un lampo come si dice una cosa e tradurla poi in un’altra lingua. Questa volta invece ci siamo concessi un risposo mentale. Dal prossimo anno, con l’inserimento nella scuola catalana del mio piccolo treenne tutto cambierà e allora le feste saranno tutte multilingue anche per lui, come già lo sono per mia figlia di cinque anni. Vi ripeto, per non creare fraintendimenti, che io adoro vivere in questa realtà barcellonese multiculturale, che sapere parlare varie lingue per me è solo una grande risorsa. Viva le feste dove si parlano tante lingue e viva questa piccola festa (relax) in italiano! Soprattutto viva l’integrazione.
